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Tradizione e innovazione nello sviluppo economico del Friuli

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Introduzione

L’obiettivo di questa lezione è di illustrare, anche attraverso brevi esempi, alcuni tratti peculiari del processo di sviluppo economico vissuto dal Friuli a partire dagli anni Cinquanta. Il quadro che emerge consente di cogliere importanti elementi dell’economia, della società e anche del paesaggio del Friuli del ventunesimo secolo.

Il docente

Sono Mario Robiony e insegno Storia economica all’Università di Udine dove mi occupo, in particolare, di storia dell’impresa. Molte delle mie ricerche e pubblicazioni riguardano realtà imprenditoriali locali che in campo agricolo, industriale e bancario hanno contribuito alla trasformazione dell’economia friulana dall’Unità d’Italia in poi.

Tradizione e innovazione nello sviluppo economico del Friuli

All’inizio degli anni Cinquanta il Friuli era ancora prevalentemente agricolo e per molti aspetti arretrato. Il reddito pro capite era inferiore a quello medio nazionale e vi erano zone economicamente depresse. La mancanza di lavoro era la causa di una forte emigrazione verso l’estero o verso le aree più sviluppate del nostro Paese.

La vera industria era limitata a poche grandi imprese in comparti tradizionali. Vi erano alcuni grandi cotonifici, qualche cartiera, una miniera insieme a qualche fabbrica di media dimensione per la produzione di acciaio. Vi erano poi migliaia di piccole o piccolissime imprese a livello perlopiù artigianale nel comparto del legno mobilio, nell’alimentare e nella meccanica.

Lo sviluppo economico che porterà il Friuli all’inizio degli anni Settanta a pareggiare e a superare il reddito medio nazionale prende avvio a metà degli anni Cinquanta e passa attraverso una sempre maggiore presenza dell’industria e del terziario (commercio e turismo), ma anche attraverso una migliore organizzazione delle attività agricole, grazie per esempio alla meccanizzazione e all’utilizzo di fertilizzanti.

La liberalizzazione degli scambi, il nuovo contesto politico ed economico nazionale e internazionale creano quelle condizioni che consentono ad alcuni imprenditori, già attivi con piccole officine poco più che artigianali di mettere a frutto conoscenze e competenze che si erano accumulate in vari modi nei decenni o anche nei secoli precedenti. Basti pensare ai campi della lavorazione del legno e dei metalli.

Il processo di industrializzazione fu agevolato da alcune condizioni interne, che non stanno tanto nella disponibilità di risorse naturali quanto piuttosto nella struttura della società friulana. Se è vero che i mercati aperti favorirono le esportazioni, il loro aumento non dipese tanto dal livello di innovazione dei prodotti, quanto piuttosto dalla possibilità di sfruttare un costo della manodopera più basso rispetto a quello degli altri paesi europei. In Friuli ciò fu favorito dalla dispersione residenziale della manodopera e dalla dispersione degli insediamenti industriali.

Cooperative anni 60
Le cooperative friulane negli anni Sessanta

Per avere un’idea di quella che era al tempo stesso la struttura produttiva e sociale del Friuli, il rapporto tra la famiglia e la terra, tra produzione e comunità che caratterizza il Friuli a metà degli anni Sessanta, cioè proprio quando il processo spinto di industrializzazione era in corso (aumentavano gli occupati, aumentava il reddito, aumentava la produzione e aumentavano le esportazioni), basta guardare al mondo della cooperazione, cioè a una delle storiche forme con cui piccoli proprietari e produttori unendo le forze erano riusciti a proteggere i propri redditi e dare mercato alle proprie produzioni. A metà degli anni Sessanta in Friuli vi erano circa 600 latterie sociali con oltre 60.000 soci (su un territorio con 187 comuni, vi erano località che avevano fino a 12 latterie); vi erano 36 banche cooperative (27 casse rurali e artigiane le odierne Bcc e 9 Banche popolari) con 74 sportelli e con circa 11.000 soci ai quali davano l’opportunità di accedere al credito; 10 cantine sociali con circa 6.000 soci e 14 essiccatoi cooperativi bozzoli con circa 4.000 soci. È una fotografia di una società che mostra come una buona parte della vita dei friulani si svolgeva ancora nelle piccole località e ruotava ancora attorno ai ritmi dell’agricoltura.

La terra però non era più l’unica fonte di reddito o di sostentamento (una volta si produceva per l’autoconsumo o per lo scambio in mercati di prossimità), in quanto i giovani, più istruiti, iniziano a essere attratti dal lavoro in fabbrica che garantisce redditi costanti. Ma chi trovava lavoro in fabbrica spesso restava a vivere nel paese d’origine (dove costruiva la casa, migliorava o ampliava quella preesistente, risparmiava per avviare una nuova attività). In questo modo il piccolo contadino o l’artigiano diventavano piccoli imprenditori, trasformando la stalla o il capanno degli attrezzi in officina.

Officina Danieli e campi agricoli
L’Officina Danieli e i campi agricoli

È solo un esempio per spiegare come la transizione dalla società contadina di tipo tradizionale a quella moderna industriale avvenne senza grossi sconvolgimenti dell’assetto sociale. È uno degli aspetti del cosiddetto part-time agricolo. È in questo contesto che emerse la figura, tipica per il Nord Est, del metalmezzadro, che vedeva il lavoro in fabbrica coesistere con quello nei campi. Ciò contribuì a contenere i costi della manodopera.

Operai della della ditta Danieli (1947)
Operai della ditta Danieli (1947)

Ciò è riscontrabile nelle esperienze anche di alcune importanti aziende. Si pensi alla Danieli di Buttrio, specializzata nella costruzione di macchine e impianti per la produzione di acciaio. L’officina nasce sottraendo spazio all’orto dal forte legame familiare soprattutto tra padre e figlio, entrambi ingegneri, che maturano esperienze professionali nella grande industria meccanica e in quella siderurgica e con la strategia dei piccoli passi trovano a Buttrio e nei dintorni gli operai, che, facciamo attenzione, non erano specializzati, spesso non erano scolarizzati. Avevano imparato tutto sul campo (learning by doing) e avevano senso pratico, ma soprattutto grande disponibilità.

Iniziativa imprenditoriale di Luigi Danieli in Argentina (1949).

Spesso le abilità nelle prime lavorazioni del ferro si tramandavano da generazioni, erano frutto di precedenti migrazioni nell’Europa centrale che, se non avevano dato luogo alla nascita di attività artigianali, erano comunque utilizzate per la realizzazione di lavori in economia, tanto utili in assenza o limitatezza di salari monetari. È con i macchinari costruiti da questi operai che la Danieli varca fin dalla metà degli anni Cinquanta i confini nazionali consentendo ai giovani, sempre più scolarizzati, di respirare un clima di apertura alle novità fino ad allora sconosciuto.

Solari (Udine) Timbracartellino (intero)
Timbracartellino Solari

Il vantaggio competitivo basato solo sul costo della manodopera ha alcune eccezioni. Basti pensare alla Solari di Udine il cui il vantaggio competitivo è determinato da prodotti altamente innovativi per i quali l’azienda registra brevetti anche negli Stati Uniti. Parliamo sia delle macchine timbracartellino per il personale, ma soprattutto dei famosi orologi a palette, da cui nasceranno i teleindicatori per stazioni e aeroporti che la Solari vende ancora oggi in tutto il mondo.

Il famoso teleindicatore posto all’aeroporto internazionale di New York (Archivio Solari)

Il fenomeno descritto è ancora più evidente per quelle aree artigianali che erano caratterizzate dalla presenza di tanti piccoli o piccolissimi produttori, come nel caso del triangolo della sedia (San Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo e Manzano) dove le produzioni finiscono con il coinvolgere intere comunità, oltre che intere famiglie, incluse donne, giovani e meno giovani. Per concludere, in Friuli il processo di sviluppo economico legato all’industrializzazione vede la contemporanea presenza di una spinta all’innovazione (nuove tecnologie e internazionalizzazione) e il mantenimento della tradizione rurale: il ruolo della famiglia e i piccoli centri come luoghi di residenza, che favoriscono un’industrializzazione diffusa.

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